A livello globale, un milione di specie a rischio estinzione.
Tra le cause principali, le trasformazioni del suolo e i cambiamenti climatici. Bene le aree protette in Europa e in Italia: passi in avanti per gestione ed estensione.
È il momento della natura: dalla nuova strategie UE e dall’Accordo Mondiale per la Biodiversità gli strumenti per arrestare il fenomeno Grave la situazione della biodiversità a livello globale. In Italia, nonostante gli sforzi per la conservazione, i trend degli ultimi decenni parlano chiaro: delle 672 specie di vertebrati italiani (di cui 576 terrestri e 96 marine), 6 sono ormai estinte e 161 sono a rischio estinzione (di cui 138 specie terrestri e 23 specie marine), pari al 28% delle specie valutate. Nei diversi gruppi di vertebrati terrestri e marini, la percentuale di rischio di estinzione passa dal 2% nei pesci ossei marini, al 19% nei rettili, 21% nei pesci cartilaginei, 23% nei mammiferi, 29% negli uccelli nidificanti, 36% negli anfibi, fino al 48% nei pesci ossei di acqua dolce. Le pressioni correlate ai cambiamenti climatici e la crescita dell’uso del suolo sono il maggiore driver del rischio di estinzione per le specie di flora e fauna valutate.
Bene invece le aree protette: i sistemi di gestioni italiani sono in linea con gli standard europei.
Dalla nuova strategia UE e dall’Accordo Mondiale per la Biodiversità, nuove opportunità per una maggiore
tutela, ripristino e lotta alle cause di estinzione. “È il momento della natura”, o meglio è il momento di pensare alla natura. Nella Giornata mondiale dell’ambiente, dedicata quest’anno al tema Biodiversità, Ispra organizza una tavola rotonda con i Ministri delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali Teresa Bellanova e dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare Sergio Costa, con l’obiettivo di far crescere la consapevolezza dei cittadini sul tema del drammatico declino dell’integrità biologica a causa delle attività umane e stimolare azioni concrete per arrestare e invertire la tendenza attuale.
Tra le fonti di pressioni per le specie vegetali, oltre alla modifica dei sistemi naturali, anche lo sviluppo agricolo (27%) e residenziale (27%) e il disturbo antropico (20%). Solo il 20% delle specie non è soggette a forme di disturbo, ma si tratta di specie che vivono in ambienti montani, in cui le pressioni sono molto ridotte. Il consumo di suolo e l’aumento delle zone urbane e commerciali (consumo di suolo, la perdita e frammentazione di habitat, l’inquinamento e il disturbo antropico sono invece alla base del rischio estinzione per la fauna italiana.
A livello globale il quadro peggiora: secondo l’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services circa un milione di specie viventi (su un totale stimato di oltre 8 milioni) rischia di sparire per sempre, processo che potrebbe completarsi per molte di queste specie entro pochi decenni. Negli ultimi 120 anni l’abbondanza media di specie autoctone nella maggior parte degli habitat terrestri è diminuita di almeno il 20%; dal XVI secolo a oggi almeno 680 specie di vertebrati sono state forzate all’estinzione; oltre il 9% di tutte le razze di mammiferi domesticati si sono estinte e almeno mille razze sono minacciate di estinzione.
La struttura, la composizione, il funzionamento degli ecosistemi di ogni angolo del pianeta, da cui la nostra e tutte le specie dipendono, si stanno deteriorando rapidamente. Rimasto “intatto” solo il 5% degli ecosistemi terrestri e marini della Terra. Ancora, tre quarti dell’ambiente terrestre e circa il 66% dell’ambiente marino sono stati significativamente modificati dalle attività umane. Più di un terzo della superficie terrestre del pianeta e quasi il 75% delle risorse di acqua dolce sono ora destinate alla produzione di culture o all’allevamento del bestiame.
Sempre a livello globale, dal 1970 a oggi il volume della produzione agricola è aumentato di circa it 300%
it prelievo di legume del 45%, mentre, dal 1980 a oggi, l’estrazione di risorse natural, rinnovabili e non rinnovabili é quasi raddoppiato e ha raggiunto circa 60 miliardi di tonnellate l’anno. Ancora, il degrado del suolo ha ridotto la produttività del 23% della superficie terrestre globale. Le aree urbane sono più che raddoppiate dal 1992 a oggi e l’inquinamento da plastica è aumentato di dieci volte dal 1980 e, attualmente, una quantità di metalli pesanti, solventi, fanghi tossici e altri rifiuti da impianti industriali comprese 300 e 400 milioni di tonnellate sono gettati ogni anno nelle acque del monde. I fertilizzanti che entrano negli ecosistemi costieri hanno prodotto più di 400 “zone morte” oceaniche, per un totale di oltre 245.000 km2, un’area appena inferiore al territorial italiano (300.000 km2).
Con la crisi della biodiversità, è a rischio la fornitura dei servizi ecosistemici, dagli alimenti al legno, dall’acqua
ai medicinali, dalla regolazione del clima al controllo dell’erosione del suolo, dai valori ricreativi a quelli
culturali.
Le attuali tendenze negative dello stato della biodiversità e degli ecosistemi stanno minando il progresso dell’80% (35 su 44) degli obiettivi per lo sviluppo sostenibile, relativi a povertà, fame, salute, acqua, città, clima, oceani e terra. La comunità scientifica avverte: nonostante gli importanti progressi su scala locale e globale, gli obiettivi mondiali ed europei per conservare e utilizzare in modo sostenibile la nature e distribuire in maniera equa i benefici derivanti dalla natura, gli obiettivi per il 2030 e il 2050 non potranno essere raggiunti.
Link Ispra – Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.
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